In Emilia Romagna la protesta si è svolta davanti alla Prefettura di Piacenza. Presentate le richieste al Governo
“Non possiamo produrre in perdita”, “Il latte delle nostre mucche è la vostra colazione”, “Il latte non è acqua”, “Mungiamo le mucche, non gli allevatori”, “Senza stalle la montagna muore”. Così gli allevatori piacentini danno voce alla situazione di grave difficoltà in cui versa il settore lattiero-caseario, durante la manifestazione organizzata da Coldiretti Piacenza giovedì 17 febbraio, davanti al Palazzo della Prefettura. Una mobilitazione che la Coldiretti ha attivato oggi in tutta Italia, da Nord a Sud, con agricoltori e allevatori scesi in piazza dalle campagne.
In Emilia Romagna l’evento si è svolto a Piacenza, dove a guidare gli allevatori c’erano il direttore di Coldiretti Piacenza Roberto Gallizioli e i delegati confederali Giovanni Benedetti e Marco Allaria Olivieri. Presenti inoltre il delegato regionale di Coldiretti Giovani Impresa Andrea Degli Esposti e la responsabile di Coldiretti Donne Impresa Piacenza Francesca Bertoli Merelli.
A Piacenza la manifestazione ha riguardato il settore lattiero caseario, che versa in particolare difficoltà. “In piazza – spiega il direttore Gallizioli – oltre a presentare le richieste che avanziamo al Governo, vogliamo innanzitutto comunicare la sofferenza dei nostri allevatori alla cittadinanza cui distribuiamo latte e monoporzioni di yogurt e grana padano, produzioni di eccellenza che valorizzano il nostro territorio, sul fronte economico, occupazionale, culturale, sociale e anche paesaggistico, se pensiamo all’importanza delle aziende agricole soprattutto nelle zone di montagna, dove esse rappresentano un presidio fondamentale per contrastare l’abbandono e di conseguenza i rischi di dissesto idrogeologico”.
Davanti alla Prefettura, Coldiretti Piacenza ha acceso i riflettori anche sul gelato, realizzato con il latte piacentino, mentre a simboleggiare la battaglia per un prezzo del latte giusto ed onesto era presente in piazza la manza “Giusta”.
A dare sostegno alla manifestazione sono intervenuti diversi esponenti politici e amministratori piacentini, tra cui il senatore Pietro Pisani, i consiglieri regionali Katia Tarasconi e Matteo Rancan, il sindaco di Piacenza e presidente della Provincia Patrizia Barbieri e il consigliere provinciale con delega all’agricoltura Giampaolo Maloberti.
“Non si può aspettare oltre per fermare la speculazione in atto sul prezzo del latte alla stalla” prosegue Gallizioli nel sottolineare che “a rischio c’è il futuro dei nostri allevamenti ai quali va riconosciuto il giusto compenso che tenga conto dei costi di produzione sempre più alti, dalla bolletta energetica ai mangimi”.
“Il latte agli allevatori – aggiunge Giovanni Benedetti – non deve essere pagato sotto i costi di produzione considerato che gli aumenti vanno dal +70% per l’energia con picchi del 110% al +40% per i mangimi”.
Significativo in merito, l’indicatore sintetico Milk Feed, elaborato dall’Ismea, che confronta il prezzo del latte alla stalla con quello di un pasto tipo per le mucche composto da mais e farina di soia: nell’ultimo anno – spiega Coldiretti - si è scesi sotto la soglia ritenuta "critica", segnale della sofferenza degli allevamenti. Il costo medio di produzione del latte, fra energia e spese fisse ha raggiunto i 46 centesimi al litro secondo l’ultima indagine Ismea, molto al di sotto del prezzo medio di 38 centesimi riconosciuto a una larga fascia di allevatori.
L’Ismea conferma proprio che il settore del bovino da latte è tra i più esposti all'incremento dei costi di produzione, innescati dalle tensioni dei prezzi delle materie prime, cresciuti solo a dicembre del 13% rispetto all’anno precedente. Il risultato è che gli allevatori sono costretti a lavorare in perdita. “Se i prezzi per le famiglie corrono i compensi riconosciuti agli agricoltori e agli allevatori non riescono neanche a coprire i costi di produzione con il balzo dei beni energetici che si trasferisce a valanga sui bilanci delle imprese agricole costrette a vendere sottocosto, un doloroso paradosso – conclude Marco Allaria Olivieri – per chi sino ad oggi non ha mai smesso di lavorare durante la pandemia.